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Procedere lungo il cammino: I 30 anni dalla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza

18/11/2019

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La storia dei trenta anni dall’approvazione della “Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza” (1989-2019) dimostra che passività e scetticismo possono essere messi a margine quando, propositivamente, ci si impegna su grandi temi. Se oggi la condizione di molti bambini ed adolescenti nel mondo è migliorata lo si deve anche a quanti hanno sostenuto l’approvazione prima e l’applicazione poi della Convenzione. Certo, i problemi persistono gravi in molte aree e troppi bambini sono ancora al limite della sopravvivenza ed allo stremo per denutrizione, sfruttamento, violenza ed emarginazione, ma sono in numero inferiore a quello che si sarebbe registrato in assenza della Convenzione, inoltre, continuare ad elencare solo le situazioni negative porta a sottovalutare i progressi ottenuti e quelli ancora ottenibili. La Convenzione è stata uno degli accordi sui diritti umani più ratificati delle Nazioni Unite, la hanno sottoscritta 194 Paesi (l’ultimo in ordine di tempo la Somalia) con la eclatante eccezione degli Stati Uniti d’America.

La Convenzione, nel 1989, riprendeva ed arricchiva, in senso ben più ampio, la “Dichiarazione per l’infanzia” adottata nel 1924, dalla allora Società delle Nazioni, che era stata spinta a ciò dalle degradanti condizioni di tanti bambini durante la prima guerra mondiale. Nell’intervallo di tempo tra le due, altro tassello fondamentale è stata la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (1948) cui pure la Convenzione del 1989 si ispira. Ovviamente, ratifica non implica diretta od automatica applicazione, ma è almeno un primo forte impegno morale che implica anche il dover spiegare o giustificare, coram populo, agli occhi di tutti, per quali motivi si ritenga di non adottare parte delle indicazioni della Convenzione. Si scopre così che Paesi “ricchi” come Canada e Regno Unito, ancora non separano adulti e minori nella detenzione, per “motivi economici”, si dichiara. Che molti Paesi islamici (e non solo) hanno rifiutato l’applicazione di alcuni punti, ad esempio dell’art. 14 sul diritto dei bambini e degli adolescenti “alla libertà di pensiero, religione e di coscienza”, perché ritenuta contraria al credo islamico o alla dottrina politica di regime. Che altri Paesi islamici affermano debba prevalere nell’allevamento dei bambini la Sharia (considerata, in alcuni Paesi, alla stregua delle norme di diritto positivo imposte dallo Stato), in nome di un preteso relativismo culturale per cui la libertà sarebbe un concetto occidentale, non un principio di diritto universale. É bene trarre insegnamento da tali situazioni, confrontare le dichiarazioni con le applicazioni concrete delle norme, evidenziare quali siano -o siano state- le priorità adottate nella vita sociale dei vari Stati. Il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia monitora l’applicazione della Convenzione ed ha giustamente sottolineato che: "...le norme della Convenzione sono intese a sollecitare le autorità di ciascun Paese a trovare i modi più efficaci nelle loro società per spezzare il ciclo della violenza spesso perpetuato da una generazione all'altra con il pretesto della tradizione e delle consuetudini".

Prima del 1989, pochissimi Paesi avevano assunto iniziative per garantire la visibilità dei diritti dell'infanzia nell'ambito delle politiche di governo (una eccezione influente era rappresentata dall'istituzione in Norvegia, nel 1981, di un Ombudsperson, o difensore civico). Oggi, le commissioni nazionali ed i comitati interministeriali per l'infanzia, i piani d'azione nazionali, i programmi e le strategie per l'infanzia, le valutazioni di impatto sull'infanzia, i rapporti su "Lo stato dell'infanzia", e i "Bilanci dei bambini" stanno diventando la regola piuttosto che l'eccezione. Alcuni Stati hanno sviluppato una concezione del tutto nuova, uno statuto dei diritti dell'infanzia nonché capitoli
speciali della loro Costituzione. Questo processo sta sradicando le concezioni tradizionali in materia di proprietà e di discriminazioni (ad esempio contro le bambine e contro i figli nati fuori dal matrimonio) e le sostituisce con i concetti di responsabilità dei genitori e degli Stati, e con principi e standard universali. Il principio di non discriminazione, che richiede il riconoscimento di tutti i diritti per tutti i bambini nell'ambito di ciascuna giurisdizione, ha costretto gli Stati al riconoscimento, la cura e il reinserimento dei bambini dimenticati e marginalizzati: i bambini lasciati negli istituti, i bambini che vivono e/o lavorano in strada, i bambini profughi non accompagnati, i bambini coinvolti dalle forme occulte di sfruttamento del lavoro minorile i bambini comprati e venduti attraverso le frontiere. I principi della Convenzione stanno inoltre portando gli Stati a sviluppare sistemi distinti di amministrazione della giustizia per i minori (nell’ordinamento giuridico italiano già presente dal 1934 con il Tribunale ordinario specializzato per i Minorenni) evitando, ove possibile, la criminalizzazione e la privazione della libertà, ponendo l'accento sulla riabilitazione ed il reinserimento, tenendo sotto controllo le politiche punitive di impronta populista che portano spesso ad un incremento della criminalità e della violenza.

Si è oramai consapevoli, o almeno informati, di ciò che risulta da ricerche e studi, cioè che le esperienze dei primi anni dell'infanzia, nell'ambito della famiglia o di altre forme di cura, determina in modo significativo la crescita e lo sviluppo degli individui, in modo positivo o negativo. E questo, a sua volta, determina in che misura, nel resto della loro vita, essi rappresenteranno un costo per la società o invece forniranno un contributo. Se si usa la definizione di infanzia che fornisce la Convenzione, e cioè comprensiva di ogni essere umano di età inferiore ai 18 anni, si prendono in considerazione più di due miliardi di persone che, in alcune regioni demograficamente giovani, rappresentano quasi la metà della popolazione. Quindi è in campo una sfida che coinvolge grandi numeri ma anche il futuro delle società. Come affermava Kofi Annan, Segretario Generale delle Nazioni Unite, nel 1997: "Per guardare ad alcuni aspetti del futuro, non abbiamo bisogno di proiezioni elaborate da supercomputer. Molto di ciò che sarà il prossimo millennio si può già vedere nel modo in cui ci occupiamo oggi dell'infanzia. II mondo di domani forse sarà influenzato dalla scienza e dalla tecnologia ma più di ogni altra cosa, sta già prendendo forma nei corpi e nelle menti dei nostri bambini."


Antonio Virgili, Presidente Nazionale
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