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Problematiche adolescenziali alla Clinica Mediterranea
La Clinica Mediterranea, in Napoli, ha dato vita ad una serie d'incontri intitolati Mondo Donna, da ottobre 2013 a giugno 2014. Essi hanno toccato diversi temi, tra i quali il delicato argomento del rapporto che hanno oggi i giovani con la chirurgia estetica e il difficile rapporto tra madri e figli nei periodi della preadolescenza e dell'adolescenza. Gli adolescenti e la chirurgia estetica Il famoso proverbio "Chi bello vuole apparire un pó deve soffrire" non va più di moda da quando per essere belli bastano il bisturi e un portafogli gonfio. Ciò si manifesta soprattutto nella nostra società, dove tutto viene comunicato, amplificato, sottolineato e accompagnato dalle immagini. Riviste, giornali, reti televisive ed internet pullulano d'immagini che hanno il compito di condizionare e di modificare i gusti e le idee dei fruitori. Alcune di esse sono riproposte così spesso che quasi non ce ne rendiamo più conto. Ne sono un esempio, le bellissime donne che popolano ed infestano gli schermi televisivi e i monitor dei nostri computer. Queste donne hanno tutte in comune la dote della bellezza, una bellezza estrema ed innaturale che esalta la magrezza e che pone dei canoni quasi sempre irraggiungibili. Soprattutto gli adolescenti risentono di queste influenze sbagliate e cercano di imitarli per colmare le proprie insicurezze, sia fisiche sia psicologiche. Per arrivare a questo scopo sempre più ragazzi tra i sedici e i venti anni ricorrono alla chirurgia estetica e a folli cure dimagranti. Molto spesso la chirurgia ha esiti negativi, soprattutto sul corpo ancora in via di sviluppo di un adolescente. Risultati sbagliati o un eccessivo cambiamento potrebbero inoltre ledere la fragile autostima di un adolescente invece che rafforzarla. Spesso la volontà di alcuni adolescenti di attuare cambiamenti permanenti al proprio corpo, siano essi la chirurgia estetica o altro, scatena feroci conflitti con entrambi i genitori, ma soprattutto con la madre. Rapporto genitori figli Gli adolescenti ritrovano nella figura paterna un possibile complice, al contrario di quella materna che ha un ruolo speculare cioè infondere sicurezza ma allo stesso tempo essere un ostacolo. Durante la crescita, per gli adolescenti, lo scontro rappresenta l'unico modo per imporsi e per manifestare la propria crescita interiore e quindi la propria indipendenza. Il rapporto madre-figlia pur essendo più intimo, può generare molteplici insicurezze. La figlia può arrivare ad associare la figura materna a quella di un ostacolo o di una nemica nei confronti della propria femminilità. Durante la preadolescenza è normale che il legame madre-figlio/a diventi più elastico, proprio perché gli adolescenti manifestano la loro indipendenza formando nuovi legami di amicizia con i coetanei. La madre in quest'ottica può nuovamente assumere una figura duplice e opposta: la madre infatti è colei che infonde fiducia nei figli ma che allo stesso tempo diventa un ostacolo per la loro indipendenza. Oggi si manifesta il fenomeno delle "madri-amiche", madri che non si arrendono all'inevitabile trascorrere del tempo e che si comportano come le proprie figlie. Altri motivi di scontro nascono quando le madri ripongono le proprie aspettative e i propri sogni nei figli, che invece hanno obbiettivi e sogni diversi. Questo è un tentativo inconscio delle madri di realizzare i propri sogni incompiuti. Questa situazione può aumentare il fattore negativo materno: la madre si trasforma in un totale ostacolo che mina l'autostima dei figli, maggiormente delle figlie, e che ne distrugge una qualsiasi tipo di indipendenza. Dal punto di vista materno, l'allontanamento della prole porta le madri ad interrogarsi sull'azione educativa impartita ai figli. Spesso questa situazione viene vissuta dalle madri come una progressiva perdita d'importanza che le può far cadere in uno stato di depressione. Valentina Cotugno |
La bella e la bestia, tra realtà e mito
di Roberta Girardi Se Don Pedro Gonzales fosse vissuto ai nostri giorni probabilmente non sarebbe stato che un fenomeno da baraccone o al massimo, che forse è anche peggio, sarebbe stato considerato un patetico malato di “Ipertricosi”, un rarissimo disturbo di origine genetica che comporta la crescita abnorme della peluria corporea conferendo a chi ne soffre un poco rassicurante aspetto animalesco. Per sua fortuna, viceversa, la vita di Don Pedro si è dipanata nell’Europa a cavallo tra il cinquecento ed il seicento. Un luogo ed un momento in cui il suo aspetto “selvatico” non suscitava ripugnanza o compatimento ma, al contrario, destava stupore e meraviglia al punto tale da indurre i potenti della terra a contendersi la sua compagnia a suon di prebende e di onorificenze prestigiose. Pedro Gonzales nacque nel 1556 nelle Canarie pochi anni dopo la conquista Spagnola dell’Arcipelago che, all’epoca, era ben lungi dall’essere la popolare meta del turismo di massa che conosciamo oggi ma era ancora un luogo selvaggio sospeso a metà tra l’Africa misteriosa e l’altrettanto enigmatico nuovo mondo. Probabilmente, non fosse stato per la sua evidente “peculiarità”, avrebbe condiviso il destino di schiavitù e morte del suo popolo. Proprio grazie alla sua malattia invece, il piccolo indigeno, il cui nome originario non è mai stato tramandato, venne condotto sul continente e, dopo essere stato ribattezzato Pedro, iniziò quella che si sarebbe rivelata una vita lunga e piena di soddisfazioni trascorsa tra le corti più importanti sfarzose del tempo. L’incredibile vicenda di Don Pedro il Selvaggio non si spiegherebbe con la sola curiosità verso il suo aspetto fisico, per quanto particolare. Le ragioni del suo “successo” hanno viceversa radici – profonde ed antichissime – nel mito, diffuso in tutto il folklore europeo sino a tempi recenti, dell’”uomo selvatico”, una razza di uomini selvaggi che si riteneva abitasse i luoghi più impervi ed isolati evitando di proposito ogni contatto con l’uomo. Una sorta di Yeti ante litteram insomma, la cui cattura ebbe allora un’eco paragonabile, appunto, a quella che avrebbe la cattura di un cucciolo di Yeti al giorno d’oggi. Il piccolo selvaggio, ribattezzato Pedro Gonzles, fu donato ai reali di Spagna presso i quali venne educato come un perfetto gentiluomo di corte e che, in considerazione dei suoi natali (era figlio di un capo canario) gli concessero di fregiarsi del titolo onorifico di “Don”. L’educazione ricevuta e l’aspetto a dir poco inconsueto costituirono per Don Pedro Gonzales un vero e proprio passaporto per la celebrità: la notizia della presenza di un uomo selvatico educato da perfetto gentiluomo non tardò infatti a spandersi per le corti d’Europa e non c’era, letteralmente, Re o principe che non sognasse di poter sfoggiare alle sue dipendenze un tal fenomeno. Iniziarono così le peregrinazioni del selvaggio gentiluomo che venne ceduto in dono dai reali di Spagna ad Enrico II di Valois, Re di Francia. Enrico II – perfezionata la sua educazione – gli affidò un importante incarico a Corte e s’impegnò personalmente per trovargli una moglie, che le cronache dell’epoca descrivono come assai avvenente. La fama di Don Pedro Gonzales, nel frattempo, si stava espandendo al punto che, non potendo l’originale soddisfare l’enorme curiosità sollevata, iniziarono a circolare presso le case regnanti di tutta europa numerosi suoi ritratti, più o meno originali. Dalla Corte di Francia il selvaggio gentiluomo venne quindi donato a Margherita D’Asburgo, moglie di Ottavio Farnese, Governatrice dei Paesi Bassi e Duchessa di Parma. Nel 1583, in seguito alla morte della protettrice, avvenne l’ennesimo trasloco della famiglia Gonzales, nel frattempo arricchitasi di due bambini entrambi affetti dalla medesima sindrome, questa volta verso Parma e la corte di Ranuccio Farnese. Possiamo solamente tentare d’immaginare la profonda impressione che deve aver fatto sui parmigiani dell’epoca l’arrivo di un’intera famiglia di prodigi viventi. La famiglia fu trattata con tutti gli onori e venne fatta risiedere all’interno del Parco Ducale ove condusse un’esistenza scandita unicamente da qualche sporadico impegno di Corte. Parma, però, si rivelò ben presto una sistemazione deludente. Infatti,se fino ad allora il Selvaggio aveva ricoperto importanti incarichi -dapprima tra i gentiluomini di camera del Re di Francia e quindi presso il Governatorato dei Paesi bassi- alla corte Farnesiana per la prima volta non gli venne assegnato alcun compito particolare e fu relegato ad un ruolo di mera curiosità da esibire di tanto in tanto. La situazione non andava però a genio a Don Pedro che iniziava a sentirsi, per la prima volta in vita sua, inutile e messo da parte. E’ assai probabile che il Selvaggio gentiluomo non abbia fatto mistero della propria insoddisfazione se è vero che, anche se dopo qualche anno, ottenne il tanto agognato trasferimento a Collecchio con l’incarico di amministrare la vasta tenuta agricola che i Farnese ivi possedevano. Le cronache dell’epoca non dicono come se la sia cavata nella sua nuova veste; quello che si sa è che, la vita errante di Don Pedro Gonzales non era ancora finita. Da Parma infatti intorno al 1620 si spostarono a Capodimonte, sul lago di Bolsena, ove i Farnese avevano un castello ed ampi possedimenti e dove Don Pedro Gonzales morì qualche anno più tardi dopo una vita passata, come si direbbe ora, sotto i riflettori. Gli sopravvissero i due figli Arrigo e Tognina che continuarono, seppure in tono minore, la “carriera” paterna contesi, oltre che dalle più importanti Corti d’Italia, anche da Pittori del calibro di Agostino Carracci e Lavinia Fontana. |
(in aggiornamento)
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